IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato;
   Esaminata la richiesta del p.m.,  pervenuta  in  data  20  dicembre
 1997,  di emissione di decreto penale di condanna per il reato di cui
 agli  artt.  328/389  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
 547/1955  commesso  in  data  11 settembre 1996 dall'imputato Pierini
 Gian Paolo in atti generalizzato;
   Rilevato  che  la richiesta in esame e' relativa ad un accertamento
 eseguito in data 16 luglio 1997 da personale della  U.O.  Prevenzione
 igiene    e  sicurezza  nei  luoghi  di  lavoro  della  USL n. 3/zona
 Valdinievole;
     che, in particolare, nel corso dell'accertamento eseguito in data
 16 luglio 1997 nei locali della ditta  dell'imputato  e'  emerso  che
 questi,  quale  socio  e  legale  rappresentante  della  ditta non ha
 "sottoposto  a  prima  verifica  e  successivamente  alle   verifiche
 periodiche   biennali   l'impianto   di  messa  a  terra  della  sede
 dell'attivita'";
   Rilevato, ancora,  che  a  seguito  dell'accertamento  l'organo  di
 vigilanza  pur  rilevando la violazione dell'art. 328/389 del decreto
 del Presidente della Repubblica  n.  547/1955,  non  ha  ritenuto  di
 impartire  prescrizioni ai sensi dell'art. 20 del decreto legislativo
 n. 758/1994 "... in quanto trattasi di reato  gia'  consumato  e  non
 ottemperabile,  pertanto  il  contravventore non potra' pagare in via
 amministrativa ed e' stato comunque avvertito  che  potra'  usufruire
 dell'istituto  dell'oblazione"  (v.  Nota n. 205/1997 di prot. del 26
 luglio 1997);
                             O s s e r v a
   Il  capo  II  del  decreto legislativo n. 758/1994, in ottemperanza
 "parziale" alla delega conferta con legge 6 dicembre  1993,  n.  499,
 disciplina un procedimento definito come misto, ovvero amministrativo
 penale,  per  la  definizione  delle  contravvenzioni accertate dagli
 organi di vigilanza in materia di prevenzione  infortuni.  La  prassi
 ispettiva   relativa   alla  legislazione  in  materia  era  fondata,
 antecedentemente all'introduzione  di  tale  procedimento  misto,  su
 alcune  disposizioni  contenute fondamentalmente negli artt. 9/10 del
 d.P.R. 19 marzo  1995,  n.  520,  recante  "Disposizioni  riguardanti
 l'Ispettorato   del   lavoro,   sulla   riorganizzazione  centrale  e
 periferica del Ministero del lavoro e della previdenza  sociale".  In
 particolare  l'art.  9  del   decreto del Presidente della Repubblica
 cit. prevede che, in caso di  constatata  inosservanza  di  norme  di
 legge  la  cui  applicazione  e' affidata all'Ispettorato del lavoro,
 quest'ultimo  organo  ha  la  facolta',  ove  lo  ritenga  opportuno,
 valutate  le  circostanze  del  caso,  di  "diffidare"  con  apposita
 prescrizione   il  datore  di  lavoro  fissando  un  termine  per  la
 regolarizzazione.
   Orbene,  l'interpretazione  dell'istituto  della  "diffida"  -  che
 l'art.   21 della legge n. 833/1978, istitutiva del S.S.N., ha esteso
 agli operatori di vigilanza  delle  USL  per  la  legislazione  sulla
 sicurezza  del lavoro - ha generato un contrasto nella giurisprudenza
 della suprema Corte risolto solo a  seguito  di  una  sentenza  delle
 ss.uu.  penali.
   Un   primo  filone  giurisprudenziale,  infatti,  riteneva  che  la
 facolta' di diffida non fosse alternativa all'obbligo di denunzia del
 fatto-reato che e' perfetto sin dal momento del primo accertamento  e
 perseguibile  per  il principio dell'officialita' dell'azione penale.
 Tale orientamento, in particolare, riteneva che la  "diffida" di  per
 se'  consistesse in un formale avvertimento a rimuovere le situazioni
 pregiudizievoli riscontrate, senza  che  essa,  o  l'ottemperanza  da
 parte  del  datore  di  lavoro, potesse influire sulla procedibita' o
 punibilita' del commesso reato (v., ex multis: Cass. pen., 24  aprile
 1990, imp. Diddi; Cass. pen., 27 giugno 1986, n. 12284, imp. Ciari).
   Un   secondo  e  piu'  recente  filone  giurisprudenziale,  invece,
 d'accordo con la dottrina piu' avvertita, ha inteso la "diffida"  non
 come strumento meramente sollecitatorio ma, piuttosto, come strumento
 atto  all'eliminazione  di  situazioni di pericolo nell'interesse dei
 lavoratori, sicche' dalla prevalenza accordata a tale interesse si e'
 desunto dal sistema il principio per il quale la diffida  costituisse
 condizione  per il promovimento e la prosecuzione dell'azione penale,
 mentre la tempestiva ottemperanza alla diffida da luogo ad una  sorta
 di    absolutio    ab    osservatione    iudicii   (v.,   nel   senso
 dell'alternativita' tra "diffida" e azione penale, ex multis:   Cass.
 pen.,  9  aprile 1990, n. 7016, imp. Fasoli; Cass. pen., 24 settembre
 1991, n. 10498, p.m. in proc. Casarini;  nello  stesso  senso,  anche
 Corte  costituzionale  12  luglio  1967,  n.    105 ed, ancora, Corte
 costituzionale  9 giugno 1971, n. 125).
   A seguito, tuttavia, dell'arresto giurisprudenziale  della  suprema
 Corte  con la sentenza n. 3171 del 27 febbraio 1992 (imp. Bergamini),
 si rendeva necessario l'intervento chiarificatore delle ss.uu.  della
 suprema  Corte  che,  infatti,  oltre  a  ribadire  le argomentazioni
 proprie del primo filone giurisprudenziale, hanno assegnato carattere
 decisivo alla constatazione per  cui  nell'art.  9  del  decreto  del
 Presidente della Repubblica n. 520/1955 manca una espressa previsione
 della   sospensione   dell'azione   penale   in  caso  di  diffida  e
 dell'estinzione del reato per effetto dell'ottemperanza alla  diffida
 stessa.  La  conclusione,  quindi, e' stata quella di ritenere che la
 "diffida" consiste in un mero formale  avvertimento  a  rimuovere  le
 situazioni pregiudizievoli riscontrate e che esaurisce i suoi effetti
 sul piano amministrativo.
   Con  l'entrata in vigore del decreto legislatvo n. 758/1994, pero',
 il legislatore ha tentato di colmare il vuoto  interpretativo  creato
 dalle  ss.uu.  del  1993,  disponendo  espressamente  per  il  futuro
 l'inapplicabilita'  delle  norme  in  materia   di   diffida   e   di
 disposizione  per  le  contravvenzioni in materia di lavoro (art. 25,
 comma 1, decreto legislativo citato).
   Orbene, osserva il decidente,  come  l'attuale  disciplina  dettata
 dagli  artt.  19/25 del decreto legislativo citato per lo svolgimento
 del procedimento "misto" nel senso indicato in  precedenza,  presenti
 quale  elemento centrale differenziazione tra i contemplati poteri di
 disposizione  e  diffida  da  quello della "prescrizione" ex art.  20
 decreto   legislativo   citato,   proprio    il    carattere    della
 obbligatorieta' di quest'ultima.
   Mentre,  cioe',  fino all'entrata in vigore del decreto legislativo
 n. 758/1994 l'organo di vigilanza poteva  discrezionalmente  valutare
 l'opportunita'  o meno di emanare un atto ingiuntivo o dispositivo di
 natura amministrativa, cosi' dando vita ad una fase autonoma rispetto
 al procedimento penale,  viceversa  con  l'entrata  in  vigore  della
 disciplina   citata   in   presenza   di   un   accertamento  di  una
 contravvenzione in materia  di  prevenzione  infortuni,  l'organo  di
 vigilanza deve necessariamente impartire una prescrizione, quale atto
 di  p.g. strettamente connesso al procedimento penale come desumibile
 dall'art. 20, comma 1, decreto legislativo citato.
   Tale   obbligatorieta'   nell'impartire   la   prescrizione   parte
 dell'organo  di  vigilanza, soffre un'eccezione solo nella previsione
 dell'art.   23, comma 2, del decreto  legislativo  n.  758/1994  che,
 infatti, riconosce la possibilita' all'organo di vigilanza di potersi
 astenere   dall'impartire   una  prescrizione  limitatamente,  pero',
 all'ipotesi in cui la notizia  di  reato  non  pervenga  direttamente
 all'organo di vigilanza ma dal p.m. o da altri soggetti.
   Il  dato  letterale  di tale norma, peraltro, lascerebbe propendere
 per continuare a considerare la prescrizione come atto  discrezionale
 dell'organo di vigilanza ferma restando la promovibilita' dell'azione
 penale da parte  del p.m.
   Orbene, una simile soluzione non puo' essere condivisa non soltanto
 con  riferimento  all'ipotesi  contemplata  dalla norma richiamata ma
 soprattutto, per quanto di interesse nella vicenda procedimentale  de
 qua,  con  riferimento  all'ipotesi  apparentemente  diversa sotto un
 profilo   giuridico/fattuale   ma   omogenea   sotto    un    profilo
 contenutistico  e  sostanziale in cui l'organo di vigilanza prendendo
 direttamente cognizione  di  una  notizia  di  reato  in  materia  di
 prevenzione    infortuni   ritenga   "discrezionalmente"   (con   una
 valutazione, si osserva, fondata su una  discrezionalita'  "tecnica")
 di  non  dover  impartire alcuna prescrizione ritenendo il reato gia'
 consumato  e  dunque  non  ottemperabile,   con   cio'   negando   al
 contravventore  la  possibilita'  (rectius,  il  diritto) di definire
 amministrativamente la procedura mediante pagamento della somma  pari
 ad  un  quarto  del  massimo dell'ammenda stabilita per la violazione
 accertata  e,  per  converso,  obbligandolo  a  definire   penalmente
 altrimenti   (ovvero,   mediante  l'oblazione  speciale  -  peraltro,
 quest'ultima,  davvero  "discrezionale"  per  il  giudice  penale   e
 soggetta a determinate condizioni indicate dall'art. l62-bis c.p. - o
 mediante  il  ricorso  ai  riti  alternativi,  al dibattimento ovvero
 legittimando,  come  nel  caso  di  specie,  il  p.m.  a   richiedere
 l'emissione  di  decreto  penale  di  condanna essendo venuta meno la
 sospensione dell'azione penale  ex  art.  23  decreto  legislatvo  n.
 758/1994) la violazione davanti al giudice penale.
   E'  evidente,  peraltro,  come  nel caso sub specie per l'organo di
 vigilanza impartire una prescrizione finalizzata all'eliminazione  di
 una   contravvenzione   accertata   sia   materialmente  impossibile,
 trattandosi di reato istantaneo caratterizzato da un'offesa del  bene
 protetto   che  si  perfeziona  e  si  esaurisce  nel  momento  della
 commissione del fatto, senza protrarsi  nel  tempo,  sicche'  risulta
 ontologicamente impedita qualsiasi possibilita' di regolarizzazione e
 la  conseguente  emanazione  di  una  prescrizione non avrebbe alcuna
 utilita',  in   considerazione   dell'oggettiva   impossibilita'   di
 ripristinare una situazione conforme a diritto.
   Se  tale situazione legittima l'organo di vigilanza a non impartire
 alcuna prescrizione  di fronte al caso di specie (come, del resto, si
 verifica in altri casi: es. art. 328  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  n.  547/1955 relativamente alla verifica dell'impianto di
 messa a terra prima della messa in sevizio; art. 4 legge n.  628/1961
 quanto  alla  scadenza  del  termine  per la esibizione dei documenti
 richiesti da parte dell'Ispettorato del lavoro), e' pero' dubbio  che
 tale  mancata  prescrizione,  risolvendosi  nella  preclusione per il
 contravventore  della  definizione  del  procedimento   mediante   il
 pagamento  "in  via  amministrativa"  davanti all'organo di vigilanza
 della somma pari ad un quarto del massimo dell'ammenda stabilita  per
 la  violazione  accertata,  sia  pienamente  conforme con la voluntas
 legis sottesa alla legge delega n. 499 del 6  dicembre  1993  e,  nel
 contempo,  conforme  al  principio  costituzionale  dell'art. 3 della
 Costituzione.
   La lettura dell'art. 1, comma  1,  lett.  b)  della  legge  delega,
 infatti,  non lascia spazio a margini di discrezionalita' agli organi
 di vigilanza.
   Ed invero, tale disposizione normativa nel conferire al Governo  la
 delega ad "adottare ... uno o piu' decreti legislativi per la riforma
 sanzionatoria  relativa  ai rapporti di lavoro ..." (art. 1, comma 1,
 prima parte) fissa i principi e criteri direttivi richiesti dall'art.
 76 della Costituzine e in  maniera  perfettamente  intellegibile  "in
 materia  di tutela della sicurezza e dell'igiene del lavoro" richiede
 che nell'attuazione della delega il Governo debba "stabilire, per  le
 contravvenzioni  previste  da leggi speciali, una causa di estinzione
 del  reato  consistente  nell'adempimento,  entro  un   termine   non
 superiore   al   limite   fissato   dalla  legge,  alle  prescrizioni
 obbligatoriamente impartite dagli organi di vigilanza allo  scopo  di
 eliminare  la  violazione  accertata,  nonche'  nel pagamento in sede
 amministrativa  di  una  somma  pari  ad  un   quarto   del   massimo
 dell'ammenda comminata per ciascuna infrazione".
   La  previsione normativa de qua, quindi, non sembra lasciare spazio
 a margini di discrezionalita' all'organo  di  vigilanza  nell'imporre
 una  prescrizione  successivamente all'accertamento della violazione,
 cio'  in  considerazione  del  fatto  che   tale   atto   rappresenta
 l'attivazione  della  procedura "mista" che potenzialmente porta alla
 definizione in fase amministrativa del  procedimento  secondo  quanto
 previsto dagli artt. 21/24 del decreto legilslativo citato.
   Del  resto,  osserva  il  g.i.p.,  non  avrebbe  alcun senso logico
 sostenere che l'obbligatorieta' o la discrezionalita' dell'emanazione
 dell'atto prescrittivo sia determinata e  condizionata  dalla  natura
 della violazione accertata.
   Cio' per almeno un duplice ordine di motivi.
   Ed infatti, la circostanza per cui la possibilita' di estinguere il
 reato  adempiendo alla prescrizione e pagando una sanzione pecuniaria
 in  via  amministrativa  sarebbe  rimessa,  in  primo   luogo,   alla
 casualita'  che  determina  il  reato  oggetto di accertamento (ossia
 dipenderebbe dalla natura del reato stesso, impedendo, come nel  caso
 di specie, qualsiasi prescrizione trattandosi di reato gia' consumato
 per  il quale non si ritenga di dover impartire prescrizioni da parte
 dell'organo di vigilanza) ed, in secondo luogo, sarebbe rimessa  alla
 discrezionalita'  insindacabile  dell'organo  di  vigilanza  (cio' in
 considerazione del fatto che di fronte ad una rinuncia dell'organo di
 vigilanza  a  impartire  prescrizioni  e,  dunque,  ad  ammettere  il
 contravventore  alla  definizione amministrativa, l'organo inquirente
 non ha alcuna facolta' di intervento nella fase amministrativa  della
 procedura  di  spettanza  esclusiva  dell'organo  di vigilanza ne' e'
 legittimato  a  porre  in  essere  atti  finalizzati  a  sanare  tale
 situazione  potendo  solo compiere quelle attivita' limitate previste
 dall'art. 23, comma 3,  decreto  legislativo  citato  che,  peraltro,
 presuppongono  la  sospensione  del  procedimento penale, sospensione
 automaticamente caducata di fronte al diniego da parte dell'organo di
 vigilanza   di   ammettere   il   contravventore   alla   definizione
 amministrativa della procedura).
   In  definitiva,  quindi,  autorizzare  una simile soluzione (ovvero
 ritenere  non  obbligatorio  l'impartire  la  prescrizione  da  parte
 dell'organo di vigilanza o, comunque, rimettere alla discrezionalita'
 tecnica  dell'organo di vigilanza la decisione di ammettere o meno il
 contravventore alla  definone  in  via  amministrativa)  equivale  ad
 attribuire   all'organo  di  vigilanza  uno  smisurato,  eccessivo  e
 comunque non legittimo spazio di discrezionalita'  circa  l'effettiva
 operativita'   dello   speciale   procedimento  di  estinzione  delle
 contravvezzioni  previsto  dal  legislatore  per  evitare   la   fase
 processuale  penale  e  garantire  nel  contempo  l'osservanza  delle
 disposizioni violate.
   A giudizio di questo g.i.p. pertanto sembra evidente  il  contrasto
 e,  dunque,  la  sospetta  incostituzionalita' dell'art. 21, comma 2,
 decreto legislativo citato nella parte in cui non  prevede  l'obbligo
 per  l'organo di vigilanza di ammettere il contravventore a pagare in
 sede amministrativa anche nel caso in cui non venga impartita  alcuna
 prescrizione  per materiale impossibilita' nella sua emanazione (come
 nel caso sub specie, trattandosi di reato  istantaneo  che  impedisce
 ontologicamente  qualsiasi  possibilita'  di regolarizzazione), posto
 che  subordinare  l'ammissione  alla  procedura  amministrativa  alla
 verifica    dell'adempimento    della   prescrizione   impedisce   al
 contravventore nei  cui  confronti  nessuna  prescrizione  sia  stata
 impartita  di  definire  la  violazione  accertata mediante pagamento
 della somma pari al quarto del  massimo  dell'ammenda  stabilita  per
 tale  violazione,  con evidente disparita' di trattamento rispetto al
 contravventore che "beneficiato" dall'imposizione di una prescrizione
 possa definire la violazione accertata  avvalendosi  della  procedura
 ammmistrativa   evitando   quella  penale  che,  viceversa,  dovrebbe
 obbligatoriamente seguire il contravventore  nei  cui  confronti  non
 venisse  impartita  alcuna  prescrizione  e  che  si vede preclusa la
 possibilita' di definizione in quella fase amministrativa.
   In definitiva, quindi, si farebbe dipendere da un elemento estraneo
 alla  volonta'  del  contravventore   (ossia   dalla   natura   della
 violazione)   la   possibilita'   di   avvalersi   della  definizione
 amminstrativa   del   procedimento,   rimettendola   altresi'    alla
 discrezionalita' tecnica dell'organo di vigilanza, cio' che finirebbe
 per  far  degradare da obbligatoria a facoltativa l'imposizione della
 prescrizione con  conseguente  palese  violazione  del  principio  di
 uguaglianza   costituzionalmente  garantito,  da  una  parte,  e  con
 altrettanto  evidente violazione dell'art.  76 della Costituzione per
 difformita' rispetto ai principi  e  criteri  direttivi  della  legge
 delega  n.  499/1993 che all'art. 1, comma 1, lett. b) n. 1, imponeva
 in materia di stabilire una causa di  estinzione  del  reato  fondata
 "nell'adempimento   .........   alle  prescrizioni  obbligatoriamente
 impartite .... nonche' nel pagamento in sede  amministrativa  di  una
 somma  pari  ad  un  quarto  del  massimo  dell'ammenda comminata per
 ciascuna infrazione".
   Ritenuto, infine, che la questione sollevata  ex  officio  non  sia
 manifestamente  infondata  e che la richiesta di emissione di decreto
 penale di condanna non puo' essere definita  indipendentemente  dalla
 risoluzione  della questione di legittimita' costituzionale in quanto
 l'accoglimento  della  stessa  consentirebbe  al  contravventore   di
 definire  amministrativamente  la  contravvenzione  con  il pagamento
 della somma indicata  dall'art.  21,  comma  2,  decreto  legislativo
 citato,   senza   necessita'   per   questo  decidente  di  procedere
 all'emissione del decreto penale di condanna richiesto e restituzione
 degli atti al p.m.  perche'  provveda  a  trasmetterli  all'organo  i
 vigilanza per l'ammissione alla procedura amministrativa.